ANTONIA CIASCA. A venti anni dalla scomparsa (2001-2021)
Antonia Ciasca, lucana, nata a Melfi il 21 maggio 1930, è stata una delle maggiori studiose mondiali di antichità fenicio-puniche. Figlia del senatore e storico Raffaele Ciasca e della scrittrice Carolina Rispoli si trasferì subito dopo la Seconda guerra mondiale a Genova, prima, e a Roma, poi, seguendo i trasferimenti del padre, docente presso le rispettive Università. Stabilitasi definitivamente a Roma frequentò l’università “La Sapienza” dove si laureò in Etruscologia con Massimo Pallottino con una tesi sul capitello eolico in Etruria.
Proprio sotto la sapiente guida del maestro etruscologo de “La Sapienza” Antonia Ciasca si formò come archeologa negli scavi del santuario etrusco di Pyrgi.
Si dedicò presto allo studio delle civiltà vicino-orientali e fenicio-puniche, collaborando con l’Istituto di Studi Orientali, prima, e il Centro per le Antichità e la Storia dell’Arte del Vicino Oriente, poi, e pubblicando sulla rivista Oriens Antiquus.
Prese parte negli anni 1959-1960 agli scavi di Tell esh-Sheikh Ahmed el-’Areini (Israele), diretti da Shmuel Yeivin (Israel Antiquities Authority), tra il 1959 e il 1962 agli scavi di Ramat Rahel (Israele), diretti da Yohanan Aharoni (Università di Tel Aviv), sotto l’egida di Sabatino Moscati e Giovanni Garbini, e nel 1963 compartecipò agli scavi di Shave-Ziyyon e Achziv (Israele), diretti da Moshe W. Prausnitz (Israel Antiquities Authority).
A lei si deve la presenza della Missione Archeologica Italiana a Malta, unica missione straniera sul territorio dell’arcipelago, instaurando con le Istituzioni maltesi un rapporto improntato a fiducia e stima reciproca. Dal 1963, infatti, diresse gli scavi a Malta, a Tas Silg e nell’area nord dell’isola, condotti con cadenza annuale fino al 1969, interrotti e ripresi poi nel 1998. Qui identificò il famoso santuario di Astarte, luogo di culto frequentato per tre millenni da genti mediterranee. Negli anni successivi continuò a studiare il materiale archeologico di Malta, dedicandogli varie pubblicazioni.
Assistente presso la cattedra di Filologia semitica, fino a diventare, nel 1966, la prima docente ordinaria di Antichità puniche in un ateneo italiano.
Nel 1964 inaugurò la missione che diresse per trent’anni: la missione archeologica a Mozia. Antico approdo fenicio, divenne dopo la fondazione di Cartagine centro egemone del Mediterraneo, capoluogo punico della Sicilia Occidentale. Dal IX al IV secolo a.C. fu centro fiorente per i contatti con le popolazioni indigene, gli Elimi dell’entroterra, sviluppando rapporti con i Greci di Sicilia.
Fu la prima direttrice del Centro di Studio per la Civiltà Fenicia e Punica del Mediterraneo e anche la prima direttrice scientifica della “Rivista di Studi Fenici” sulla quale ha pubblicato numerosi articoli e rapporti preliminari di scavo.
Dal 1966 partecipò e diresse alcune ricognizioni ed esplorazioni lungo la Penisola del Capo Bon (Tunisia), intraprendendo scavi nel sito Ras ed-Drek, a queste dal 1969 si aggiunsero quelle in Algeria, nella regione di Biserta (Tunisia) e a Mogador (Marocco).
Nel 1973 Antonia Ciasca progettò una missione archeologica nel sito costiero di Tell Sheikh Zennad (Libano), un sito a nord di Tripoli indicato anche da James B. Pritchard prima dell’inizio degli scavi di Sarepta, ma la missione non poté mai avere inizio a causa dello scoppio della guerra civile.
Nel 1975 partecipò anche agli scavi di Tharros.
Antonia Ciasca, che dedicò la sua vita allo studio e alla ricerca archeologica, si spense prematuramente il primo di marzo del 2001.
Alla sua intensa e proficua attività di ricerca le missioni archeologiche della Sapienza e l’archeologia orientale sono profondamente debitrici.
Antonia Ciasca ha concepito la ricerca a Mozia come un lavoro continuo, sistematico e metodico, ma anche appassionato,
recandosi ogni anno sull'isola nella Casa delle Missioni Archeologiche per studiare i materiali, disegnare di proprio
pugno la ceramica, riesaminare i ritrovamenti. Oltre ai risultati più evidenti del suo lavoro, come le centinaia di
stele e le migliaia di urne rinvenute nel Tofet, che oggi si possono ammirare nel Museo Whitaker sull'isola, o gli
imponenti tratti di mura e le torri portate alla luce nel tratto nord-est della cinta difensiva della città, ciò che
resta è una mole di materiali accuratamente classificati e rigorosamente attribuiti agli strati; il suo metodo e la sua
dedizione sono un esempio per tutti, ma in special modo per chi, lavorando a Mozia, ha la possibilità di apprezzare
quotidianamente la sua opera.