Identificata dal viaggiatore e studioso olandese Cluverius già nel '600 con Mozia, l'Isola di San Pantaleo, così
chiamata dal secolo XII, vide le prime esplorazioni archeologiche verso la fine del XVIII secolo, per iniziativa di
Mons. Airoldi, custode delle antichità della Val di Mazara, il quale incaricò il barone Rosario Alagna di condurvi
delle ricerche di antichità. Possiamo quindi fissare all'anno 1793 l'inizio ufficiale dell'esplorazione archeologica
nell'isola di Mozia, quando durante le ricerche patrocinate dal barone Alagna venne rinvenuto il famoso gruppo
scultoreo che riproduce due leoni nell'atto di azzannare un toro, oggi esposto nel Museo Whitaker sull'isola.
Nell'opera, purtroppo fortemente erosa, la cui tematica ricorda le radici più propriamente fenicie della cultura
moziese, è stato proposto di riconoscere l'elemento decorativo posto a coronamento della Porta Nord. Ed è forse la
somiglianza tra quest'opera e la scultura che sovrasta la Porta dei Leoni di Micene, che convinse Heinrich Schliemann a
sbarcare nell'isola per condurvi una campagna di scavo nell'ottobre del 1875 su invito dell'allora ministro della
Pubblica Istruzione. Una presenza tanto prestigiosa quanto fugace, poiché il celeberrimo scopritore di Micene e Troia
abbandonò i lavori precipitosamente, dopo meno di una settimana, definendo "infruttuosa" la sua esperienza.
Trent'anni dopo non sarà di questo avviso Joseph Whitaker, nobile e colto proprietario dell'isola, il quale, a partire
dal 1906 fino al 1927, vi condusse la prima serie di scavi sistematici. Mozia e il mondo scientifico devono molto a
questo personaggio e alla sua famiglia: il ritrovamento dei maggiori monumenti della città antica risalgono alle sue
ricognizioni e gran parte delle ricerche moderne si sono basate sulle sue esplorazioni preliminari. Il taglio
decisamente scientifico del metodo di Whitaker portò oltretutto alla creazione sull'isola di un museo permanente,
precorrendo il moderno concetto di contestualizzazione del reperto archeologico, oltre alla pubblicazione dettagliata
dei ritrovamenti all'interno di un volume ancora oggi fondamentale per gli archeologi: Motya. A Phoenician Colony in
Sicily (Londra 1921). Così scrive Whitaker nell'introduzione: "Questo lavoro è stato iniziato nell'anno 1906 e, in
ottemperanza alle leggi italiane, sotto la supervisione dello Stato, nella persona del Prof. Antonino Salinas, il
defunto famoso direttore del Museo Nazionale di Palermo, mentre la direzione dei lavori è stata affidata al Cav.
Giuseppe Lipari Cascio di Marsala, che da anni si è dedicato con zelo e con il più vivo interesse alla ricerca
archeologica in questa parte della Sicilia". Lo stretto rapporto tra i proprietari dell'isola e lo Stato Italiano, poi
la Regione Siciliana, rimarrà nel tempo indissolubile, anche quando, estinta la famiglia di Joseph Whitaker nel 1971,
Mozia fu affidata ad una Fondazione, che si è distinta negli anni per il supporto offerto alle nuove spedizioni
archeologiche. L'attività archeologica di Whitaker si concentrò su tutto il perimetro orientale e settentrionale
dell'isola, identificando successivamente le aree della Necropoli, del Tofet e del grande Santuario del Cappiddazzu.
L'esploratore inglese mise in luce la casa patrizia detta "dei Mosaici" e, infine, identificò e scavò l'impianto di
Porta Sud e soprattutto il bacino artificiale del Kothon. Questi ultimi due importanti monumenti sono stati l'oggetto
principale della seconda grande serie di scavi sistematici scientifici a Mozia, condotti dall'archeologo inglese
Benedikt Isserlin, direttore di una missione di scavo congiunta delle Università di Leeds, Oxford, Londra e Fairleigh
Dickinson (USA). Tra gli anni 1955 e 1970 Isserlin esplorò l'impianto delle porte settentrionale e meridionale, ampliò
lo scavo del Santuario del Cappiddazzu e, soprattutto, si dedicò per primo in maniera accurata allo studio e
all'interpretazione del bacino del Kothon, cercando esternamente gli eventuali canali di alimentazione del bacino e
svuotandone l'imboccatura.
Dopo qualche anno dall'arrivo di Isserlin, e in concomitanza con la fondazione a Roma, alla metà degli anni '60,
dell'Istituto di Studi per il Vicino Oriente dell'Università "La Sapienza", l'isola di Mozia diventa un vero e proprio
laboratorio dell'indagine archeologica. Sabatino Moscati, direttore dell'Istituto, e Vincenzo Tusa, Soprintendente
dell'allora Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Occidentale, intrapresero una serie di campagne di scavo
congiunte che, sotto la direzione scientifica di Antonia Ciasca, hanno portato alla luce monumenti di eccezionale
importanza, come l'intera area del Tofet, le necropoli e il Santuario del Cappiddazzu. A partire dal 1974 fino al 1992
Antonia Ciasca ha poi diretto lo scavo e il complesso studio della cinta muraria di Mozia, riportandone alla luce un
vasto tratto nel versante nord-orientale. I grandi risultati e le interpretazioni avanzate dall'archeologa romana
rendono queste esplorazioni un vero e proprio punto di riferimento nell'ambito degli studi sull'architettura difensiva
fenicio-punica. A partire dal 1977 un'altra istituzione, l'Università di Palermo, si affianca alle altre, nuovamente
per iniziativa di Vincenzo Tusa. Le ricerche si concentrano su un'area prospiciente ad est il Santuario del
Cappiddazzu, riportando alla luce un importante impianto industriale (Zona K). Il 26 ottobre del 1979 in questo
settore, nel tratto prospiciente il lato di fondo del Santuario del Cappiddazzu fu trovata la celebre statua marmorea
del Giovane di Mozia, una delle testimonianze scultoree greche più rilevanti rinvenute in Sicilia occidentale.
Nel 1987 alla Provincia di Trapani viene assegnata un'autonoma Soprintendenza Regionale ai Beni Culturali e proprio tra
il 1987 e il 1993 hanno luogo una serie di campagne di scavo concentrate per la prima volta al recupero di un edificio
abitativo, la cosiddetta "Casa delle Anfore". In realtà la lunga serie di insulae riportate alle luce sono parte di un
fitto quartiere abitativo da attribuire al ceto medio moziese, collocato nel settore centrale dell'isola. Lo scavo del
settore della "Casa delle Anfore", più propriamente della Zona A, diretto da Maria Luisa Famà, si è posto prima di ogni
altro il problema del rapporto tra monumento, materiali di rinvenimento e sequenza stratigrafica, evidenziando fasi
storiche comprese tra il IV e il VII secolo a.C. Dall'inizio degli anni '90 si segnalano a Mozia per circa un decennio
solo sondaggi sporadici, tra cui spicca lo scavo condotto sull'acropoli dell'isola all'interno del Magazzino Enologico
(Zona E). Nel 1993 Antonia Ciasca torna a Mozia per riprendere lo scavo del Tofet, in vista della musealizzazione del
santuario, la campagna chiude con successo il ciclo di indagini condotte dalla grande archeologa a Mozia.