In cooperation with Regione Siciliana and Fondazione G. Whitaker    
Missione Archeologica a Mozia
Tofet
Gli scavi al Tofet di Mozia furono condotti da Antonia Ciasca ininterrottamente per dieci anni dal 1964 al 1973 (cui si aggiunse una campagna nel 1993 finalizzata alla musealizzazione dell'area), con campagne sistematiche che hanno portato al chiarimento della stratigrafia dell'area e al recupero di un numero notevolissimo di reperti. Il santuario ha restituito più di mille deposizioni e circa duecento tra stele e cippi, distribuite su sette strati, oltre ad una serie di altre installazioni di culto, che permettono di ricostruire, caso quasi unico nel panorama dei tofet punici, lo sviluppo storico-archeologico del luogo di culto legato al sacrificio degli infanti durante tutta la storia di Mozia. I sette strati distinti nel campo di urne sono stati raggruppati da Antonia Ciasca in tre fasi, concordemente con i dati desumibili dallo studio delle strutture architettoniche presenti nel Tofet (i muri che delimitano il santuario, le mura urbiche che lo chiudono sul lato settentrionale e i sacelli presenti al suo interno), che coprono un arco cronologico compreso tra la seconda metà dell'VIII e la fine del IV secolo a.C.

Fase A - Strati VII, VI e V (c. 750-520 a.C.)

Organizzazione La fondazione del santuario presumibilmente segue di pochi anni lo stanziamento fenicio a Mozia alla metà dell'VIII secolo a.C., che, secondo Antonia Ciasca, si può datare grazie a materiali ceramici greci rinvenuti nelle tombe della necropoli arcaica, scavate in gran parte da Whitaker negli anni 1908-1913, appunto ascrivibili a questa fase cronologica. Le dimensioni originali del santuario erano 20-25 m sull'asse est-ovest e 19-20 m su quello nord-sud. Ciasca indica come limite del temenos originario sul lato ovest il muro M4, il quale tuttavia è anche il muro perimetrale di una cappella rettangolare (11,0 m x 3,5 m) con ingresso da sud (delimitata anche dal muro M5); tale struttura potrebbe in alternativa essere ricostruita, forse in modo più convincente, come un portico aperto verso est e rivolto verso il campo di urne. Come limite orientale del recinto sacro Antonia Ciasca individuò una struttura molto meno possente, che si sarebbe conservata solamente a sud (muri A2, A2N). Sul lato meridionale, infine, il limite del santuario verso la città era rappresentato dal lungo muro T1.

Strato VII - I cinerari furono deposti inizialmente nel paleosuolo argilloso rossastro di Mozia, in fosse che raggiungevano la marna calcarea affiorante; le urne erano a volte coperte da piccole pietre e in un caso una scheggia di calcare era infissa sopra al cinerario, probabilmente con una valenza mnemonica. La densità delle deposizioni era scarsa (0,5 per mq) e le fosse si distribuivano abbastanza regolarmente. I cinerari del settore nord erano costituiti da piccoli vasi d'impasto, piattelli e anche piccoli grumi di argilla cruda. I resti degli incinerati erano modesti, in alcuni casi minimi; nel settore centrale e meridione del santuario, invece, la qualità dei cinerari era migliore, includendo anche vasi di fattura locale realizzati tuttavia al tornio. Una forma caratteristica è l'anforetta con spalla marcata e carenata e decorazione a ingubbiatura rossa e linee nere, di solito chiusa da un grande piatto ombelicato a tesa distinta, anch'esso completamente rivestito da un'ingubbiatura roosa. La cronologia dello strato VII è stata fissata orientativamente dalla seconda metà dell'VIII secolo all'inizio del VII (750-690 a.C.).

Strato VI - Il primo rialzamento del campo di urne avviene nel primo quarto del VII secolo, attraverso una gettata di terreno bruno contenente frammenti ceramici definiti "pre-fenici" (si tratta di paleosuolo di riporto da un settore non lontano dal Tofet stesso, con materiali residui dell'Età del Bronzo). La densità dei cinerari aumenta nettamente in questo strato (6 x mq), anche a causa del fatto che si possono distinguere due livelli deposizionali sovrapposti. Le forme più innovative nei cinerari sono le anforette greco-geometriche, la brocca con collo cilindrico con costolatura mediana (che resterà un tipo classico fino altro strato III), la pentola monoansata di tradizione fenicia e la pignatta troncoconica con quattro prese (di tradizione locale); i piatti ombelicati e le lucerne bilicni sono invece le forme predilette per le coperture dei cinerari. Sempre a questo strato appartengono una brocca con orlo a fungo, un incensiere a doppia coppa e una brocca dipinta (di tradizione siceliota). Lo strato VI copre indicativamente l'intero VII secolo a.C.

Strato V - Una nuova sistemazione del campo di urne è segnalata da uno strato di terreno argilloso chiaro ricco di marna calcarea. In questo strato per la prima volta compaiono monumenti votivi come cippi e stele; la densità delle urne è ora di 4,5 mq, anche se il dato è parziale perché dipendente dal complesso della superficie esposta. I cinerari sono costituiti in gran parte dalle olle monoansate e dalle brocche con collo cilindrico a risalto mediano. Tra i vasi più significativi si distingue una pisside cilindrica corinzia della prima metà del VI secolo a.C. (restaurata nella campagna di scavi 2002). La tendenza ad evidenziare le deposizioni con stele e altri segnacoli è altresì testimoniata dall'uso, attestato nel livello più alto dello strato V, di incistare i cinerari tra lastre di pietra messe di taglio, spesso in associazione con un cippo o una stele (i pochi rinvenuti in situ nello strato V sono rivolti verso sud-est, vale a dire verso il punto nel quale Antonia Ciasca ha ipotizzato che si trovasse l'ingresso al santuario). Nella fase successiva, sono stati ritrovati cumuli di stele chiaramente rimossi dallo strato V, che, per via dell'allargamento del campo di urne che causò una ripresa dell'attività di deposizione più in basso, ad Oriente dello spazio deposizionale originario, rimase a lungo esposto e fu infine scavato dal Whitaker (che ivi recuperò circa 150 stele e frammenti di stele). Alla fine dello strato V (e anche alla fine della prima fase d'uso del santuario [Fase A]) un gruppo di terrecotte fu deposto tra due blocchi (D ed E) a poca distanza dal luogo dove probabilmente sorgeva, nel punto più elevato del Tofet, un piccolo sacello quadrato (Ciasca riteneva che le terrecotte fossero state interrate ritualmente non lontano dal loro originario contesto di utilizzazione). La stipe includeva alcuni tra i più famosi ritrovamenti del Tofet di Mozia: la maschera ghignante, che era forse in origine affissa nel sacello quadrato, la protome femminile velata del tipo cosiddetto rodio, sei protomi femminili egittizzanti, una protome frammentaria di tipo siceliota.

Fase B - Strati IV-I,2 (520-397 a.C.)

Organizzazione Strato IV - La fine dello strato V marcò un cambiamento radicale del Santuario del Tofet, secondo Antonia Ciasca seguito agli sconvolgimenti portati a Mozia dalla spedizione in Sicilia Occidentale dello spartano Dorieo. La nuova sistemazione del Tofet fu determinata dall'erezione della cinta muraria, e vide la costruzione di un muro di separazione tra il campo di urne e la cortina delle mura (muro T2); questa struttura, tuttavia, ebbe principalmente la funzione di muro di sostegno di nuove gettate di terreno di riporto, che difatti in diversi casi oltrepassarono anche il corrispondente tratto delle mura orientali (muro MEA). Ad ovest il santuario fu ulteriormente allargato con l'aggiunta di un tempietto rettangolare ("Sacello A"), rivolto verso ovest, individuato solamente nei cavi di depredazione delle fondazioni in blocchi (ad eccezione del solo blocco in calcarenite dell'angolo nord-est) e in una piattaforma di marna calcarea che ne rialzava il settore est; tale tempietto a struttura rettangolare aveva un carattere "contaminato" greco-punico, con una colonna a capitello dorico al centro dell'ingresso in antis occidentale (fiancheggiato da lesene) e, tuttavia, una copertura piana caratteristica degli edifici punici moziesi; la struttura e le dimensioni sono paragonabile per certi versi all'edificio rettangolare riconosciuto da J. N. Coldstream come un tempietto eretto fuori della Porta Nord. L'edificio preesistente (forse un portico), orientato trasversalmente con l'asse maggiore nord-sud, che chiudeva ad ovest il campo di urne, rimase apparentemente in uso, anche se il pozzo circolare che vi era associato fu colmato (con ciottoli, forse proiettili accumulati), il piano di calpestio alzato e un nuovo pozzo con imboccatura quadrata aperto più a sud; l'impiego di entrambe le strutture, peraltro orientate una, il portico, verso est e il campo di urne, l'altra, il Sacello A, verso l'esterno del santuario ad ovest, non è stato chiarito. Nel campo di urne, ora situato nell'avvallamento orientale, circa 2 m sotto la quota del precedente strato V, trovano posto numerose stele, che adottano per lo più lo schema della facciata a naos egittizzante, spesso con iscrizioni dipinte. I cinerari dello strato IV sono ancora le pentole globulari, le olle monoansate e le brocche con collo cilindrico a risalto mediano e le coperture delle deposizioni sono anche in questo strato costituite da piatti ombelicati, coppette e pochissime lucerne (che non presentano quasi mai tracce d'uso); i materiali dai cinerari mostrano segni di combustione, probabilmente perché deposti mentre la combustione era ancora in corso. La cronologia dello strato IV oscilla tra la fine del VI e l'inizio del V secolo (520-500 a.C.).

Strato III - Un nuovo evento violento segna la fine dello strato IV, dal momento che le mura urbiche vengono distrutte e ricostruite (ciò è evidente nel tratto denominato MEA), come pure il muro T2, che viene rialzato per delimitare nuovamente il campo di urne anche collocando per testa numerose stele smontate dallo strato IV e disposte in modo da creare una facciavista piatta all'esterno, mentre all'interno le facce lavorate e le diverse lunghezze dei monumenti vengono regolarizzati tramite l'inserimento di pietre e altri materiali di risulta. Nel terreno dello strato III i cinerari si dispongono molto fitti (6,2 mq), anche oltrepassando a sud-ovest il presunto limite orientale originale del santuario (sovrapponendosi al muro A2N). In questo strato, oltre alle stele (l'unica in situ è rivolta verso nord), si rinvengono anche alcuni cippi-trono con pilastrini con funzione di incensieri, un altare (S.120), due stele "a cappella" (S.285 e S.35), una scavata con un vano interno per l'inserimento di un betilo o di una statuetta di culto chiuso da una porticina di legno, l'altra con la statuetta di una divinità (maschile?) realizzata a parte, in modo da essere asportabile dalla nicchia. I cinerari dello strato III sono ancora l'olla monoansata, la pentola monoansata e la brocca a collo cilindrico con risalto mediano. Vi sono anche un coperchio, due tipi tardo-corinzi e una brocca acroma siceliota, probabilmente residuali, che Antonia Ciasca ha considerato ancora pertinenti alla fine del VI - inizi del V secolo a.C. In ogni caso, lo strato si può datare considerando il complesso dei ritrovamenti al primo ventennio del V secolo a.C. (500-480 a.C.).

Organizzazione Strato II - Il muro di terrazzamento orientale del campo di urne fu nuovamente rialzato con stele dello strato III; tra di esse è stata rinvenuta una protome femminile egittizzante in terracotta. I lavori di spostamento delle stele atti a liberare il campo e prepararlo per nuove deposizioni sono inoltre testimoniati da una grande stele ritrovata con la metà inferiore abbandonata ai limiti meridionali del santuario insieme ad altre stele ammucchiate e quella superiore impiegata nel corpo del muro T2. Il nuovo strato deposizionale è costituito da terreno di argilla grigio-giallastra pura; i cinerari hanno una densità di 2,1 x mq (il saggio di scavo è però molto ampio e include zone prive di deposizioni); scompaiono in questa fase le stele e i segnacoli, mentre aumenta nettamente la presenza della ceramica selinuntina. Lo strato II è contemporaneo della fase 3 delle fortificazioni e si data tra 480 e 420 a.C.

Strato I,2 - Lo strato più recente, che è in uso per un tempo limitato prima della distruzione finale della città, si caratterizza ancor di più per la presenza di elementi grecizzanti, evidenti per esempio nei cinerari, che sono pentole del tipo con l'orlo a risalto interno fortemente marcato (lekanides). La densità delle deposizioni scema ancor di più in questo strato (0,8 mq), anche se questo potrebbe essere attribuito al lasso di tempo relativamente breve trascorso dal momento della ricostituzione del campo di urne alla distruzione finale di Mozia. Questo evento violento pose fine all'attività regolata d'impiego del Tofet ed fu seguito da interventi di spoliazione che interessarono principalmente gli edifici maggiori del santuario e le mura, ma che solo marginalmente coinvolsero il campo di urne, il quale continuò lo stesso ad essere utilizzato nella Fase C (strato I,1), per tutto il IV secolo a.C.

Fase C, Strato I,1 (397-300 a.C.)

La Fase C rappresenta l'ultima utilizzazione del santuario, già in parte distrutto e depredato, da parte degli abitanti di Mozia, scampati alla grande distruzione finale della città. L'ampliamento nella valletta che fiancheggiava ad est lo sperone roccioso su quale era stato inizialmente aperto il campo di urne fu colmato definitivamente, venendosi a ricostituire una situazione pianeggiante, dove le urne dello strato V ad ovest si trovavano praticamente a contatto e in parte coperte da quelle dello strato I,1 ad est. I cinerari dello strato I,1 includono la pentola tegame con corpo carenato, anse addossate, orlo a risalto interno e coperchio a forma troncoconico di tradizione greca, mentre i piattelli ombelicali sono ormai con tesa amplissima e pesante base a disco. Nel cavo di ruberia delle strutture del "Sacello A", ad ovest, viene riposto in una stipe un gruppo di terrecotte provenienti probabilmente proprio da questo tempietto, nelle rovine del quale è stato rinvenuto in frammenti un trono con sfingi, che pure si deve datare nel periodo immediatamente precedente.

IL SANTUARIO TOFET / THE TOPHET SANCTUARY

Con il termine Tofet - il cui uso è stato desunto da alcuni passi biblici (2 Re XXII:10; Geremia VII:31-32; Geremia XIX:11-13) – gli archeologi intendono una tipologia di santuario attestata fino ad oggi solo in alcuni centri fenici del Mediterraneo centrale e caratterizzata da riti che prevedono la combustione di offerte umane e animali e la successiva raccolta delle ceneri in urne, in seguito deposte in un luogo all’aperto.
Al santuario moziese è riconosciuto dagli studiosi un ruolo primario nell’ambito dell’archeologia dei Tofet, poiché grazie alle indagini accurate e attraverso i rapporti di scavo e gli studi dei reperti è possibile ricostruire lo sviluppo storico-archeologico di questo particolare luogo di culto. Il Tofet di Mozia occupa una zona approssimativamente rettangolare lungo la costa nord dell’isola. Nel suo aspetto finale circa i tre quinti dell’estensione totale sono destinati al campo di urne, mentre altri settori sono riservati ad edicole, sacelli e vani di servizio collegati al culto. Il santuario è stato in funzione durante l’intero arco di vita dell’insediamento, dalla metà dell’VIII secolo a.C. fino a tutto il IV secolo a.C. .

The term Tophet – which has been borrowed from some Biblical passages (2 Kings XXII:10; Jeremiah VII:31-32; Jeremiah XIX:11-13) – is currently used by archaeologists to indicate a particular type of sanctuary documented, to date, in some Phoenician settlements in the central Mediterranean. As part of the rite characteristics of these sacred areas, human and/or animal (usually sheep and goats) skeletal remains were burnt and their ashes were then collected in urns placed in an open space in the sanctuary.
In the archaeology of the Tophets, many scholars have assigned a primary role to the sanctuary of Motya, since the history of this sacred area can be outlined through detailed investigations, preliminary reports and the analysis of the findings. The Tophet of Motya is located on a roughly rectangular area along the northern shore of the island. In its final stage, the urnfield represented about three-fifths of the sacred area, whereas other sectors were used for the aediculae, shrines and rooms for services and the holding of the cult. The sanctuary was in use from the mid-8th until the second half of the 4th century BC.

IL SANTUARIO DI BAAL HAMMON / THE SANCTUARY OF BAAL HAMMON

Nel Tofet di Mozia [pannello Zona Tofet.01] sono stati distinti otto strati, articolati in tre grandi fasi di uso. Nella fase più antica (Fase A) il santuario occupava uno spazio ristretto (440/450 m2). Ad ovest era una cappella rettangolare (11,0 x 3,5 m), orientata in senso nord-sud e ricostruita come un ambiente coperto con ingresso da sud. All’esterno del lato est dell’edificio si trovava un pozzo circolare, mentre più ad est, sul bordo del banco di roccia, era un’altra installazione, probabilmente un podio per un sacello. Il nucleo del santuario era il campo di urne, nel quale in questa fase sono stati distinti tre strati (VII-V). Le urne più antiche sono deposte nel banco roccioso calcareo, eccezionalmente segnate da schegge o ciottoli disposti in verticale utilizzati come segnacoli. Le deposizioni, ancora molto rare, sono soprattutto in vasi d’impasto e in anforette locali di tradizione geometrica. Nello strato VI aumenta il numero e la densità delle deposizioni. Nello strato successivo (V ) le deposizioni sono spesso racchiuse da lastre infisse nel terreno e accompagnate da piccoli monumenti votivi in pietra, stele o cippi. L’inizio della seconda fase (Fase B) è segnato dalla ristrutturazione generale del luogo sacro, da collegare alle grandi opere condotte in tutta la città alla metà del VI secolo a.C. Il santuario raddoppia la sua estensione, ad est con l’ampliamento del campo riservato alle urne, attraverso muri di terrazzamento e colmate artificiali di terreno, ad ovest con l’aggiunta di un piccolo tempio (“Sacello A”), a pianta rettangolare (10 x 5 m) e con orientamento est-ovest. All’interno una piattaforma costruita in pietra è addossato alla parete est; su tale piattaforma poteva essere collocato il tronetto del simulacro della divinità. Nella zona di servizio si aggiungono diverse strutture murarie e un pozzo quadrato costruito a blocchi. Alla fine dello strato III, un gruppo di terrecotte votive viene deposto in una stipe scavata - davanti al podio - nello strato V. Nel campo di urne prosegue la deposizione dei cinerari, accompagnati nei primi due strati (IV-III) da stele e cippi, rinvenuti però in giacitura secondaria nei muri di terrazzamenti est e nord-est. A partire dallo strato successivo il campo d’urne ospita solo i vasi con le ceneri. La breve conquista siracusana deve aver coinvolto nelle distruzioni anche il Tofet, prossimo alle fortificazioni. L’ultima fase (Fase C; strato I 1) segue quindi la distruzione dionigiana del 397/6 a.C. con una risistemazione generale del santuario: vengono rialzati i muri di terrazzamento e si realizzano zone di transito in acciottolato, lungo i lati est, sud e ovest.

In the Tophet of Motya [panel Area Tophet.01], eight strata, grouped in three main phases, were distinguished. In the earliest period (Phase A), the sanctuary occupied a restricted space (440/450 m2). A rectangular and north-south oriented shrine (11.0 x 3.5 m), which is reconstructed as a covered room with an entrance from the south, was situated to the west. A circular well was located outside the eastern side of the building, while further east, on the edge of the bedrock, there was another installation, probably a podium for a chapel. The core of the sanctuary was the urnfield, which during this stage was formed by three strata (VII-V). The earliest urns were placed in the calcareous bedrock and, sometimes, were marked by flakes or pebbles. In stratum VI, the number and density of depositions increased and, in the later level (stratum V), the depositions were often enclosed by slabs and accompanied by small stone votive monuments. Around the mid-6th century BC, which corresponds to the beginning of the second phase (Phase B), the sacred area was restored according to an overall plan of reconstructions involving the city. The sanctuary doubled its extension, the urnfield was expanded to the east, through terrace walls and artificial elevations of the ground, whereas a small temple (“Shrine A”), with a rectangular plan (10 x 5 m) and an east-west orientation, was built to the west. Within this building, a platform was placed against the east wall; apparently the throne of the divinity was placed on this podium. Some walled structures and a Square Well made of large blocks were built in the service area. At the end of stratum III, a group of votive terracottas was placed in a small pit, which was dug into stratum V and in front of the podium. In the urnfield, the depositions were accompanied during strata IV-III by markers, which were recovered in a secondary position due to their re-employment in the north and eastern terrace walls. From stratum II, the practice of deposing markers was discontinued. The Tophet sanctuary, located just behind the city-walls, suffered from the devastation produced during the brief Syracusan conquest. Therefore, the last stage (Phase C; stratum I,1) followed the destruction of the city by Dionysius of Syracuse in 397/6 BC and the overall reorganization of the sanctuary: the terrace walls were raised and transit areas, paved with cobblestones, were added along the east, south and west sides.

IL LIMITE MERIDIONALE DEL TOFET / THE SOUTHERN BORDER OF THE TOPHET

I lavori di restauro nel Santuario del Tofet, condotti congiuntamente dalla Missione archeologica a Mozia dell’Università di Roma «La Sapienza» e dalla Soprintendenza BB.CC.AA. Regionale di Trapani dalla primavera del 2009 all’estate del 2011, hanno reso possibile l’individuazione del limite meridionale del santuario. Le ricerche sono state concentrate lungo il muro T1, che costituiva il limite meridionale dell’area indagata da A. Ciasca, e poi estese a sud dell’attuale recinzione del monumento, in tre diversi settori. L’ampliamento a sud-ovest ha portato alla scoperta della soglia M.3275 costituita da un grande blocco di calcarenite. Nella sua prima configurazione (c. 750-550 a.C.) il Tofet, con il suo campo di urne [pannello Zona Tofet 0.2], dovette essere nettamente separato dal resto del tessuto urbano; con la ricostruzione di Mozia alla metà del VI sec. a.C. esso non solo venne inserito nel circuito delle mura, ma progressivamente fu collegato ad altre installazioni cultuali, costruite a sud del campo deposizionale, fino ad assumere la forma di una lunga e articolata teoria di ambienti (Edificio T7), rivolta verso sud-est. Questo edificio, durante l’ultima fase di vita del Tofet (470-425 a.C.), modificò, tagliandolo, il limite meridionale del santuario.
Un ulteriore saggio di circa 10 x 5 m è stato scavato all’estremità sud-orientale del Tofet, portando alla luce una serie di ambienti (L.3260/L.3270) e installazioni riferibili ad un piccolo luogo di culto, allestito nei vani collegati all’ingresso più recente del Santuario. È stato portato alla luce un ampio ambiente, apparentemente destinato ad attività cultuali, con una nicchia e un blocco quadrangolare di calcarenite al centro (M.3250). Addossata a questo piedritto era una piccola piattaforma, realizzata con piccole pietre piatte (B.3252), e alcuni materiali ceramici. In prossimità di questa installazione sono stati rinvenuti un betilo di forma oblunga, originariamente posizionato sul podio B.3252, e, a breve distanza, una serie di reperti ceramici, una lamina di piombo ripiegata, una punta di ferro e una terracotta. Nel IV secolo a.C. il vano, sotto uno spesso strato di crollo nel quale sono stati rinvenuti un giavellotto di bronzo e una lekythos ariballica, era pavimentato a lastri e basoli; sul lato nord era l’imboccatura di un bothros (P.3284).
I dati emersi dallo scavo dei tre sondaggi stratigrafici, pertanto, concorrono nel fissare la posizione stratigrafica del muro T1: la struttura venne eretta nell’ambito della riconfigurazione del Santuario del Tofet circa alla metà del VI secolo a.C. (inizio Fase B). Il limite meridionale del Tofet nella precedente Fase A deve essere quindi ancora identificato, assieme al limite meridionale del campo di urne. La posizione dell’ingresso è quella già da tempo ipotizzata da A. Ciasca come la più naturale per l’entrata al Santuario del Tofet e questo dovrebbe indicare la soglia M.3275, aperta verso un passaggio a più vani che, ospitando anche un luogo di culto, introduceva al campo delle urne, situato pochi metri più nord.

The restoration activities in the Tophet sanctuary carried out jointly by the Rome «La Sapienza» expedition and the Regional Superintendence of Trapani between the spring of 2009 and the summer of 2011, permit us to identify the southern border of the sanctuary. The investigations were focused along wall T1, which was the southern edge of the area investigated by A. Ciasca, and were subsequently extended to three different areas to the south of the fence of the sanctuary. To the south-east, threshold M.3275, made of a large limestone ashlar block, was discovered.
In its first configuration (ca. 750-550 BC), the Tophet and its urnfield [panel Area Tophet 0.2] were distinctly separated from the urban fabric. During the overall plan of reconstructions involving the city in around the mid-6th century BC, the sacred area was included within the city-walls and was gradually connected to other cultic installations. The rooms located to the south of wall T1 are part of a large architectural fabric called Building T7, and faced south-east. Its building, during a new phase (ca. 470-425 BC), altered and cut the southern border of the sanctuary.
Another sounding (10 x 5 m) was excavated at the south-eastern limit of the Tophet, uncovering some rooms (L.3260/L.3270) and installations related to a small place of worship, which was connected to the most recent entrance to the Sanctuary. A large room, apparently intended for cultic activities, with a niche and a square limestone block in the centre (M.3250), was uncovered. Leaning against this pier was a small platform, made up of small flat stones (B.3252), and some ceramic vessels. Near this installation, were found an oblong betyl, originally placed on podium B.3252, some ceramics, a folded lead foil, an iron point and a terracotta. During the 4th century BC, the room was paved with slabs and paving stones. In its thick collapse stratum, a bronze javelin and an aryballic lekythos were found, whereas, on its north side, was the mouth of a bothros (P.3284).
The data collected from the three soundings, therefore, permit us to establish the stratigraphic position of wall T1: it was built during the reconfiguration of the Tophet Sanctuary around the mid-6th century BC (early Phase B). Therefore, both the southern border of the sanctuary and the southern edge of the urnfield during previous Phase A have yet to be detected. The most likely position of the entrance to the sanctuary, as has previously been suggested by A. Ciasca, should indicate threshold M.3275, which is open to a passage with several rooms, which – hosting a cultic space – led to the urnfield, located a few meters further north.

Bibliografia:

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  • A. Ciasca, "Mozia: sguardo d'insieme sul tofet", in Vicino Oriente 8,2 (1992), pp. 113-155.
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